Nell’ambito del Green Deal europeo, l’Unione Europea sta delineando un quadro normativo sempre più onnicomprensivo in materia ESG (Enviromental, Social e Governance), acronimo utilizzato in ambito economico/finanziario per indicare tutte le attività legate all’investimento responsabile che perseguono gli obiettivi tipici della gestione finanziaria tenendo in considerazione aspetti di natura ambientale, sociale e di governance.
Da un lato, la Direttiva 2022/2464/UE, nota come Corporate Sustainability Reporting Directive (cd. “CSRD”), entrata in vigore il 5 gennaio 2023 ed il cui recepimento è previsto entro il 6 luglio 2024[1], ha lo scopo di promuovere la trasparenza e la divulgazione di informazioni da parte delle imprese riguardo agli impatti ambientali, sociali e legati alla governance (ESG) delle loro attività, attraverso un rafforzamento degli obblighi di reporting da parte delle stesse.
Dall’altro lato, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (c.d. “ CS3D ” o “CSDD”), Direttiva (UE) 2024/1760 del 13 giugno 2024 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 5 luglio 2024, mira alla creazione di un sistema di indagine preventiva da parte delle società destinatarie della normativa (imprese grandi o ad alto-rischio di impatto socio-ambientale), volta a monitorare, prevenire e mitigare gli impatti negativi sull’ambiente, sulle condizioni di lavoro e su diritti e libertà individuali sia della propria attività d’impresa sia della value chain, a monte e a valle.
Il fine di questi interventi eurounitari è quello di creare un’economia moderna, incentivando la transizione verso un sistema economico sostenibile.
Sotto il profilo legale, CSRD e CSDD possono considerarsi nuovi strumenti di natura preventiva della responsabilità civile in ambito ambientale.
Corporate Sustainability Reporting Directive
L’obiettivo della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) è quello di promuovere la trasparenza e la divulgazione di informazioni che riguardano gli impatti ambientali e sociali, legati alla governance (ESG) delle attività imprenditoriali, attraverso un rafforzamento degli obblighi di reporting, da effettuare con l’utilizzo di criteri uniformi a livello europeo.
La grande novità della CSRD è l’ampliamento dell’ambito di applicazione degli obblighi di rendicontazione delle informazioni di sostenibilità, che troveranno applicazione nei confronti di tutte le grandi imprese e delle società madri di grandi gruppi, anche non quotate, nonché delle piccole e medie imprese[2] (purché con strumenti finanziari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati e ad esclusione delle microimprese) e delle imprese di paesi terzi (al ricorrere di determinati requisiti).
La CSRD prevede l’obbligo di predisporre la rendicontazione di sostenibilità (in precedenza, “dichiarazione di carattere non finanziario”), secondo standard comuni definiti al livello europeo (ESRS – European Sustainability Reporting Standards). La rendicontazione di sostenibilità deve inoltre essere sottoposta ad apposita vigilanza, finalizzata al rilascio dell’attestazione di conformità agli standard ESRS, e prevedere specifici requisiti per lo svolgimento dei servizi di assurance.
Rendicontazione di sostenibilità
La CSRD prevede che la rendicontazione di sostenibilità debba contenere “una descrizione […] dei principali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura, delle azioni intraprese per indentificare e monitorare tali impatti, e degli altri impatti negativi che l’impresa è tenuta a identificare in virtù di altri obblighi dell’Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza”.
Quanto al contenuto, la rendicontazione di sostenibilità include non soltanto le informazioni relative all’impresa stessa o al suo gruppo, ma anche quelle relative alla sua catena di valore, che rappresenta una delle maggiori novità apportate dalla novella legislativa.
In base al principio della doppia materialità informativa, le imprese dovranno fornire informazioni di sostenibilità sia in merito all’impatto delle proprie attività sulle persone e sull’ambiente (approccio inside-out), sia riguardo al modo in cui i fattori di sostenibilità incidono su di esse e sui loro risultati (approccio outside-in).
In particolare, le informazioni da inserire nella rendicontazione devono riguardare le strategie aziendali connesse alle questioni di sostenibilità ed alla loro compatibilità con la transizione verso un’economia sostenibile e la limitazione del riscaldamento globale, e il ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo con specifico riferimento alle questioni di sostenibilità ed alla loro composizione, gli obiettivi e le politiche imprenditoriali sulla sostenibilità, oltre che le procedure di due diligence sempre in relazione a tali specifiche problematiche.
Con la CSRD la rendicontazione di sostenibilità diviene parte integrante della relazione sulla gestione redatta dagli amministratori ai sensi dell’art. 2428 c.c., della quale costituisce una sezione appositamente contrassegnata. Ne deriva che l’adozione e la pubblicazione della rendicontazione di sostenibilità avverranno secondo le tempistiche e con le modalità previste dalla normativa nazionale per l’approvazione e la pubblicazione dei documenti finanziari dell’impresa, con il coinvolgimento degli organi sociali dell’impresa secondo le rispettive competenze e attribuzioni. Da tale inclusione nella relazione di gestione discende, per le società quotate, l’estensione anche alla rendicontazione di sostenibilità della vigilanza demandata alla Consob.
L’applicazione delle disposizioni della CSRD avverrà in maniera graduale nel tempo a seconda della tipologia di destinatari. Più nel dettaglio, a decorrere dall’esercizio finanziario che inizia il:
i. 1° gennaio 2024 (o ad una data successiva) per le grandi imprese e per le imprese madri di grandi gruppi, con oltre 500 dipendenti (anche su base consolidata) e che siano enti di interesse pubblico, ossia per i soggetti già tenuti all’obbligo di pubblicare la dichiarazione non finanziaria ai sensi del regime previgente;
ii. 1° gennaio 2025 (o ad una data successiva) per tutte le grandi imprese e le società madri di grandi gruppi diverse da quelle di cui al punto i.;
iii. 1° gennaio 2026 (o ad una data successiva) per le piccole e medie imprese con strumenti finanziari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati, gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione captive nonchè le imprese di riassicurazione captive;
iv.1° gennaio 2028 (o ad una data successiva) per imprese di paesi terzi.
Corporate Sustainability Due Diligence Directive
La Direttiva 2024/1760/UE (c.d. CSDD o CS3D – Corporate Sustainability Due Diligence Directive) è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 5 luglio 2024; gli Stati membri dovranno adottare e pubblicare, entro il 26 luglio 2026, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva.
Tale normativa si inserisce nel quadro dell’impegno dell’UE di rendere il proprio sistema di diritto all’avanguardia in materia ESG[3], introducendo procedure di due diligence volte alla promozione di condotte aziendali sostenibili ed attente alla tutela dell’ambiente e dei diritti umani.
La Direttiva presenta un ambito di applicazione ristretto: alle sole imprese di significative dimensioni, in particolare quelle con più di 1.000 dipendenti e un fatturato globale netto superiore a 450 milioni di euro; alle società capogruppo di un gruppo che raggiunge i limiti minimi per l’adozione del bilancio d’esercizio consolidato; alle società che abbiano concluso (o che siano capogruppo di un gruppo che abbia concluso) accordi di franchising o di licenza nell’Unione in cambio di diritti di licenza con società terze indipendenti per un valore maggiore a 22,5 milioni di euro nell’ultimo esercizio, laddove il fatturato globale sia superiore a 80 milioni di euro.
L’art. 5 della CSDD prevede che gli Stati membri assicurano che le società esercitino la due diligence in materia di diritti umani e di ambiente attuando le seguenti azioni:
1) integrare la due diligence nelle politiche aziendali e nei propri sistemi di gestione dei rischi, predisponendo un piano aziendale atto ad assicurare che business model e strategia d’impresa siano compatibili con la transizione ad un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 ºC, in linea con l’Accordo di Parigi;
2) individuare e valutare gli impatti negativi effettivi e potenziali sia in ambito ambientale sia nell’ambito dei diritti umani;
3) prevenire e attenuare gli impatti negativi potenziali ed arrestare gli impatti negativi effettivi predisponendo ed implementando un piano d’azione in materia di prevenzione, contenente scadenze ragionevoli e precise per gli interventi e indicatori qualitativi e quantitativi per misurare i progressi fatti. È inoltre richiesto che ciascuna società richieda ai suoi partner commerciali specifiche garanzie contrattuali per il rispetto del proprio codice di condotta ed (eventualmente) del piano operativo di prevenzione, estendendo in tal modo, a livello contrattuale, la rete di protezione dagli impatti negativi lungo l’intera catena del valore di ciascuna impresa coinvolta;
4) riparare gli impatti negativi effettivi;
5) istituire e mantenere una procedura di reclamo, che consenta di trattare reclami presentati dalle persone colpite da un impatto negativo, nonché da quelle che abbiano “fondati motivi di ritenere di poterne essere colpite“, dai sindacati e dagli altri rappresentanti dei lavoratori che rappresentano le persone che lavorano nella catena del valore interessata, nonché dalle organizzazioni della società civile attive nei settori collegati alla catena del valore interessata;
6) monitorare, almeno annualmente, l’efficacia della politica di due diligence e le misure di diligenza adottate;
7) pubblicare annualmente sul proprio sito internet la comunicazione al pubblico sugli obblighi di due diligence implementati nell’anno precedente.
In caso di mancata osservanza degli obblighi di due diligence, l’art. 29 della Direttiva prevede il dovere per tutti gli Stati membri dell’UE di assicurare un sistema di responsabilità civile (extracontrattuale).
Invero, le società soggette alla Direttiva potranno essere ritenute civilmente responsabili in tutti i casi in cui l’inosservanza (dolosa o colposa) degli obblighi di controllo e di prevenzione previsti dalla CSDD in materia di ambiente e diritti umani abbia cagionato un danno agli interessi della persona fisica o giuridica che sono tutelati dal diritto nazionale.
Tuttavia, le disposizioni attuative dovranno esonerare l’impresa da responsabilità per i danni causati esclusivamente dai partner commerciali e dovranno escludere qualsiasi forma di danno punitivo.
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Nonostante l’ambito di applicazione della Direttiva CSDD in materia di due diligence sia stato ristretto (rispetto alla proposta inizialmente articolata dalla Commissione UE) alle sole imprese di significative dimensioni, sussiste uno stretto legame fra la Corporate Sustainability Due Diligence Directive e la Corporate Sustainability Reporting Directive: invero, un’adeguata raccolta di informazioni a fini di rendicontazione nell’ambito della proposta CSRD richiede l’istituzione di processi strettamente correlati all’identificazione degli impatti negativi in conformità con l’obbligo di due diligence predisposto dalla CSDD.
Inoltre, il panorama normativo e l’introduzione degli standard volontari ESRS VSME in materia di sostenibilità offrono anche alle PMI non quotate uno strumento flessibile per adeguarsi a queste nuove esigenze di rendicontazione senza subire eccessivi oneri burocratici e finanziari.
Il rischio di “non essere sostenibili” precluderà sempre di più l’accesso a risorse essenziali per la sopravvivenza, la crescita e la competitività di tutte le imprese, sia di grande che di piccola e media dimensione. In particolare, l’accesso ai mercati globali, al credito, alla comunità finanziaria, a premi assicurativi a condizioni agevolate, a gare e appalti sia pubblici che privati, dipenderà sempre di più anche dal profilo di sostenibilità aziendale.
Lo scenario normativo attuale mostra come le grandi sfide ambientali e sociali debbano dunque essere affrontate come questioni strategiche per le imprese e non come mera compliance, perché i nuovi piani di investimento europei hanno sempre più l’obiettivo di incrementare la sostenibilità e creare un’economia climaticamente neutra, competitiva e inclusiva.
[1] Il 10 giugno 2024 il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legislativo per il recepimento della Direttiva (UE) 2022/2464.
[2] Per le PMI non quotate sono previsti standard volontari di rendicontazione di sostenibilità, gli standards ESRS VSME.
[3] IlSole24ore “CS3D al via: tra obblighi di compliance aziendale e profili di diritto internazionale privato” del 1 luglio 2024: https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/cs3d-via-obblighi-compliance-aziendale-e-profili-diritto-internazionale-privato-AFLJbcMC