In tema di Società per Azioni, l’art.2379 c.c. sancisce la nullità delle deliberazioni assembleari nei casi di i) mancata convocazione dell’assemblea, ii) mancanza del verbale e iii) impossibilità o illiceità dell’oggetto.
L’impugnazione di tali deliberazioni può essere effettuata da chiunque vi abbia interesse entro il termine di tre anni dall’iscrizione o dal deposito nel registro delle imprese o, se tale adempimento non è obbligatorio, dalla trascrizione nel libro delle adunanze.
L’impugnazione delle deliberazioni che modificano l’oggetto sociale prevedendo attività illecite o impossibili, non è, invece, soggetta ad alcun limite temporale.
Il secondo comma dell’art. 2379 c.c. dispone, poi, che l’invalidità può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Tale norma ha sollevato notevoli incertezze interpretative, avendo ad oggetto istituti di natura civilistica (la nullità) e processual-civilistica (il rilievo d’ufficio) particolarmente complessi, peraltro nell’ambito del peculiare sottosistema del diritto societario.
Il quadro giurisprudenziale.
In linea generale, le Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass.SSUU 26242/2014) hanno chiarito che spetta al Giudice accertare tutte le possibili ragioni di nullità, anche se diverse da quelle indicate dall’attore ed anche se dedotte per la prima volta in grado d’appello, purché, in tal caso, sia comunque stata sollevata domanda di nullità in primo grado (Cass. Civ. 20170/2022).
Tale principio è applicabile anche in ambito societario e, in particolare, in tema di azione di impugnazione delle deliberazioni assembleari, ancorché le deliberazioni non possano essere assimilate ai contratti, e nonostante la formale espunzione dal novellato art. 2379 c.c. del richiamo espresso agli artt. 1421 e 1423 c.c.(Cass. Civ. 8795/2016).
D’altra parte, analogo principio è dettato anche in materia di proprietà e diritti reali.
Questi ultimi, infatti, sono identificati sulla base del contenuto e non del titolo che ne costituisce la fonte (contratto, successione ereditaria, ecc.), che non ha alcuna funzione di specificazione della domanda, con la conseguenza che non viola il divieto dello ius novorum in appello la deduzione da parte dell’attore -oppure il rilievo d’ufficio del Giudice – di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio (Cass. Civ. 23565/2019).
I principi enunciati dalla della Corte di Cassazione con Sentenza n. 10233 del 18.04.2023.
Con la recente Sentenza n. 10233 in data 18.04.2023 la Suprema Corte ha analizzato una fattispecie diversa da quelle innanzi menzionate.
Infatti, nel caso in esame, l’attore (socio e presidente del Consiglio di Amministrazione di una S.p.A.) aveva impugnato una deliberazione assembleare chiedendone in primo grado l’annullamento e, solo in appello, deducendone la nullità.
In simili ipotesi, poiché la domanda di annullamento presuppone che l’atto non sia nullo, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la rilevabilità d’ufficio della nullità nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni deve essere coordinata con il principio della domanda (exartt. 99 e 112 c.p.c.) e, pertanto:
– ai fini del rigetto della domanda, trattandosi di eccezione in senso lato, il Giudice può sempre rilevare la nullità del contratto, anche in grado d’appello (Cass. SSUU 7294/2017);
– ai fini dell’accoglimento della domanda, invece, il Giudice non può dichiarare in dispositivo la nullità del contratto in mancanza di una domanda ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio a seguito della rilevazione del Giudice stesso, dalla parte interessata (Cass. SSUU26242/2014),rimanendo in ogni caso esclusa la proponibilità di tale domanda per la prima volta in appello(Cass. Civ. 28377/2022).
In forza di tali considerazioni, la Suprema Corte, nel caso in esame, ha quindi affermato che la domanda di nullità della deliberazione assembleare proposta per la prima volta in grado d’appello è inammissibile, trattandosi senz’altro di inammissibile domanda nuova.
Inoltre, con riguardo al termine triennale di decadenza dell’impugnazione sancito dall’art. 2379 c.c., la Corte di Cassazione ha chiarito che esso è previsto non solo in relazione all’impugnazione da parte degli aventi diritto, ma anche al rilievo officioso dell’invalidità da parte del Giudice.
In definitiva, quindi, la Suprema Corte ha sancito i seguenti principi:
– “il giudice, se investito dell’azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere (e il dovere), in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato;
– se, invece, la domanda ha per oggetto l’esecuzione o l’annullamento della delibera, la rilevabilità d’ufficio della nullità di quest’ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev’essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall’altra parte, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata;
– nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, tale potere (e dovere) di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza è rilevabile d’ufficio e può essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea”.
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