Il contratto di transazione: la disciplina codicistica.
L’art. 1965 c.c. dispone che la transazione è il contratto con cui le parti, mediante reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già iniziata o prevengono una lite che potrebbe sorgere, anche creando, modificando o estinguendo rapporti diversi da quelli in contestazione.
In tale ultima ipotesi, la transazione è definita come “novativa” poiché le parti, oltre ad estinguere il rapporto precedente, ne costituiscono uno nuovo.
Tale distinzione rileva ai fini dell’eventuale risoluzione della transazione, che non può essere pronunciata se il rapporto precedente è stato estinto per novazione (a meno che il diritto alla risoluzione sia stato espressamente previsto).
Ai sensi dell’art. 1966 c.c. la transazione non può avere ad oggetto diritti indisponibili, quali i diritti personali e personalissimi, essendo in tal caso affetta da nullità.
Una particolare disciplina è dettata dal codice in merito ai vizi di tale contratto.
Sotto un primo profilo, è annullabile la transazione sottoscritta da una parte consapevole della temerarietà della propria azione: sussiste temerarietà quando la parte ha agito o resistito in giudizio nella piena conoscenza dell’infondatezza delle proprie ragioni.
E’ inoltre annullabile la transazione stipulata sulla base di un titolo nullo, o quando una delle parti ignora la nullità del titolo, nonché quella fondata su un documento successivamente riconosciuto falso.
E’ invece radicalmente nulla la transazione relativa ad un contratto illecito, quindi contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
Infine, è annullabile la transazione avente ad oggetto una lite già decisa da una sentenza passata in giudicato della quale le parti o una sola di esse non avevano conoscenza.
Transazione generale e transazione speciale
Corte di Cassazione n. 21557 in data 27.07.2021.
Sul piano pratico, uno degli eventi più ricorrenti per cui una parte può essere indotta ad impugnare una transazione già stipulata è la scoperta di nuovi documenti, ignoti al momento della sottoscrizione, in presenza dei quali il contraente stesso non avrebbe definito la lite o la avrebbe conciliata a condizioni diverse.
Sul punto, l’art. 1975 c.c. dispone che la transazione è annullabile in caso di scoperta di nuovi documenti attestanti l’inesistenza del diritto dell’altro contraente solo laddove questa abbia riguardato un affare determinato, cioè solo nel caso di transazione speciale.
Qualora, invece, la transazione abbia natura generale, cioè abbia riguardato tutti gli affari intercorrenti tra le parti, essa non è impugnabile in caso di scoperta di nuovi documenti (con l’unica eccezione dell’ipotesi in cui una parte li abbia deliberatamente occultati).
Considerate le rilevanti conseguenze che discendono dalla qualificazione di una transazione come generale o speciale, la giurisprudenza di legittimità ha tratteggiato i caratteri distintivi delle due menzionate ipotesi, soffermandosi soprattutto sull’attività ermeneutica che deve compiere l’Autorità Giudiziaria investita della decisione.
In particolare, con la Sentenza n. 21557 in data 27.07.2021 la Suprema Corte ha chiarito che la transazione generale riguarda una pluralità di controversie, senza che occorra la previa individuazione delle medesime, poiché le parti la concludono in generale su tutti i loro affari.
Pertanto, le reciproche concessioni non devono riferirsi a singole liti, ma a tutte le potenziali liti considerate nel loro insieme.
La transazione è, invece, speciale se attiene a un determinato affare necessariamente individuato come tale.
Spetta al giudice di merito stabilire in concreto se una transazione abbia natura generale o speciale, trattandosi di un accertamento del contenuto contrattuale: tuttavia, il relativo accertamento è sindacabile in sede di legittimità, sia sul piano motivazionale, ove venga dedotto l’omesso esame di fatti decisivi, sia sul piano della corretta applicazione delle regole di ermeneutica, ove tali regole non siano state correttamente osservate.
Sulla base di tali argomentazioni, la Suprema Corte (nel caso di specie, cassando la sentenza della Corte territoriale), ha sancito il seguente principio di diritto:
“l’indagine sulla comune intenzione dei contraenti deve tener tuttavia conto del criterio generale per cui, ove rispetto a un medesimo rapporto siano sorte o possano sorgere tra le parti più liti in relazione a plurime questioni controverse, l’avere dichiarato, nello stipulare una transazione, di non aver più nulla a pretendere in dipendenza del rapporto non implica necessariamente che la transazione investa tutte le controversie potenziali o attuali, dal momento che a norma dell’art. 1364 c.c., le espressioni usate nel contratto, finanche ove generali, riguardano soltanto gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di statuire; cosicché, se il negozio transattivo concerne soltanto alcuna delle eventuali controversie, esso non si estende, malgrado l’eventuale ampiezza dell’espressione adoperata, a quelle rimaste estranee all’accordo, il cui oggetto va determinato attraverso una valutazione di tutti gli elementi di fatto”.
In definitiva, la Cassazione ha stabilito che il Giudice di merito adito debba necessariamente condurre un’accurata indagine in ordine alla reale volontà delle parti, non potendosi desumere in modo automatico, nemmeno quando le espressioni utilizzate nel contratto siano connotate da contenuto generico, che la transazione abbia riguardato tutti gli affari intercorrenti tra le stesse.
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