Inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da un gruppo di lavoratori ultracinquantenni soggetti all’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV2.
Con l’Ordinanza emanata lo scorso 21 febbraio, il Tribunale di Verona, pronunciandosi sul delicato tema dell’obbligo vaccinale per i lavoratori ultracinquantenni introdotto con il D.L. n. 1/2022, ha offerto un interessante spunto di riflessione sull’esperimento del rimedio ex art. 700 c.p.c..
La tutela ex art. 700 c.p.c.
In particolare, l’art. 700 c.p.c. prevede che “… chi ha fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con ricorso al giudice i provvedimenti di urgenza che appaiono, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito”.
In altri termini, l’art. 700 c.p.c. permette al ricorrente di ottenere un provvedimento cautelare atipico (ossia, non rientrante in alcuna delle ipotesi disciplinate dagli artt. 669-bis e segg. c.p.c., inerenti i procedimenti cautelari) che possa garantire provvisoriamente l’anticipazione degli effetti della decisione finale o la conservazione della situazione di fatto su cui la pronuncia andrà ad incidere, quando i tempi del giudizio ordinario non consentono di tutelare il diritto da un pregiudizio imminente ed irreparabile.
Dalla lettura della disposizione è possibile ricavare i requisiti necessari per l’instaurazione di un procedimento cautelare, che sono il “fumus boni iuris”, ossia la verosimiglianza del diritto, ed il “periculum in mora”, cioè il pericolo che il ritardo nell’emanazione della pronuncia definitiva possa arrecare un danno al diritto vantato dal ricorrente.
Con riferimento all’art. 700 c.p.c., sussiste un vivace dibattito tra la dottrina e la giurisprudenza intorno a “quale” effetto del provvedimento definitivo sia possibile anticipare o conservare, dal momento che, sebbene il suo ambito di applicazione sia residuale rispetto ai provvedimenti cautelari disciplinati agli articoli precedenti, il ruolo dell’art. 700 c.p.c. è tutt’altro che marginale, assolvendo sempre più una funzione integratrice delle forme di tutela cautelare tipiche, che, da sole, potrebbero non soddisfare completamente le esigenze concrete del ricorrente.
In particolare, è discussa l’ammissibilità della tutela cautelare atipica di mero accertamento, ossia se sia possibile fornire la certezza giuridica dell’esistenza di un diritto controverso in assenza della cognizione piena propria del giudizio ordinario e, dunque, attraverso un provvedimento instabile ed incapace di passare in giudicato formale e sostanziale. L’effetto di un provvedimento cautelare di contenuto dichiarativo sarebbe quello di anticipare l’effetto di una pronuncia conseguibile solo all’esito di un giudizio di merito.
La dottrina e la giurisprudenza, non senza contrapposizione di orientamenti, hanno ritenuto ammissibile la tutela cautelare di mero accertamento sulla base del principio della strumentalità della tutela cautelare stessa.
Infatti, la strumentalità della tutela cautelare rispecchia il rapporto tra il procedimento cautelare ed il processo ordinario: il primo è finalizzato a difendere la situazione giuridica sostanziale dedotta nell’ambito del secondo; di conseguenza, la tutela ottenuta con il provvedimento cautelare non potrà mai essere superiore a quella conseguibile nel giudizio di merito.
Perciò, la tutela cautelare atipica di mero accertamento è ammissibile fintantoché è strettamente strumentale rispetto alla pronuncia definitiva (di accertamento) e nei limiti in cui è ammessa un’azione ordinaria volta all’ottenimento di una sentenza dichiarativa di accertamento: pertanto, potrà avere ad oggetto solamente un diritto e per instaurare il giudizio occorrerà l’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., ossia l’interesse al conseguimento di un vantaggio o di un’utilità non ottenibili senza l’intervento del Giudice.
Il caso di specie
Attraverso il ricorso ex art. 700 c.p.c. i ricorrenti intendevano “far accertare e dichiarare la loro impossibilità” di osservare l’obbligo vaccinale introdotto dall’art. 1 del D.L. n. 1/2022 per i cittadini italiani ultracinquantenni.
A fondamento della loro richiesta, i ricorrenti avevano addotto le seguenti ragioni:
- i vaccini autorizzati in Italia sono volti a prevenire l’insorgenza delle malattie derivanti dall’infezione da SARS-CoV2, mentre il requisito per poter legittimamente osservare l’obbligo imposto dal D.L. n. 1/2022 è che il vaccino sia realmente efficace nella prevenzione dell’infezione da SARS-CoV2;
- l’obbligo vaccinale si pone in contrasto con l’art. 32 Cost. e con i principi generali dell’ordinamento, dal momento che costituisce un trattamento sanitario obbligatorio indeterminato sotto il profilo quantitativo e temporale;
- la somministrazione dei vaccini non rispetta le disposizioni legislative in materia di prescrizioni mediche, in quanto, oltre ad avvenire in ambiente non ospedaliero ed in assenza di medici specialisti, il modulo che il paziente è costretto a firmare per sottoporsi alla vaccinazione reca non solo il suo consenso informato ma anche la propria anamnesi e l’autorizzazione alla somministrazione del vaccino.
In relazione al tipo di azione posta in essere, il Tribunale di Verona ha rilevato due profili di inammissibilità.
- In primo luogo, la tutela richiesta dai ricorrenti era di tipo meramente dichiarativo: infatti, i lavoratori coinvolti miravano esclusivamente ad ottenere un provvedimento accertativo della loro impossibilità a sottoporsi al vaccino, in deroga a quanto stabilito dal D.L. n. 1/2022.
La tutela cautelare di mero accertamento come ammessa dalla dottrina e dalla giurisprudenza non può, secondo il Giudice, trovare applicazione al caso di specie.
Infatti, il provvedimento richiesto difettava dei caratteri della strumentalità e della provvisorietà tipici dei provvedimenti cautelari (e necessari a rendere ammissibile anche la tutela cautelare di mero accertamento), posto che i ricorrenti volevano ottenere in via cautelare un accertamento in merito all’esistenza o meno del “diritto a non vaccinarsi”.
In tal modo, il provvedimento cautelare non avrebbe garantito semplicemente la cristallizzazione temporanea di una situazione di fatto che altrimenti sarebbe stata pregiudicata da un danno imminente ed irreparabile, ma sarebbe stato pienamente satisfattivo della pretesa dei ricorrenti e la successiva sentenza di merito avrebbe semplicemente confermato gli effetti del provvedimento emanato in sede cautelare, contrastando con il principio secondo cui “la misura cautelare non può dare più di quello che darebbe il merito”[1]. - Inoltre, il Giudice ha riscontrato il difetto di interesse dei ricorrenti, che, come specificato sopra, è necessario ai fini della proposizione di un’azione di accertamento e, quindi, anche per l’ottenimento di una misura cautelare dichiarativa.
Invero, i ricorrenti avevano agito per ottenere una pronuncia che legittimasse il loro rifiuto alla vaccinazione obbligatoria: nella parte del ricorso inerente l’illustrazione del periculum in mora, infatti, essi sostenevano che la somministrazione del vaccino avrebbe arrecato loro un pregiudizio irreparabile se poi l’obbligo fosse stato dichiarato illegittimo nella successiva pronuncia dichiarativa, che quindi si sarebbe rilevata del tutto inutile.
L’inosservanza dell’obbligo vaccinale senza un’apposita tutela cautelare, invece, avrebbe esposto i ricorrenti alle conseguenze disciplinari derivanti dalla loro assenza ingiustificata dal lavoro, tra cui la privazione della primaria o dell’unica fonte di reddito di cui disponevano.
Sulla questione, il Tribunale di Verona ha chiarito che una domanda giudiziale finalizzata all’ottenimento di una pronuncia positiva in merito alla liceità di una condotta futura priva la controparte del diritto di “(re)azione giudiziaria” attraverso la sottrazione preventiva del ricorrente all’eventuale giudizio di responsabilità.
In tal modo, l’esito favorevole del giudizio non tutelerebbe il ricorrente dalla lesione di un proprio diritto, ma lo solleverebbe da un successivo giudizio di responsabilità nei suoi confronti, con la conseguenza che, in assenza di una vera e propria “necessità” all’ottenimento del provvedimento favorevole, la domanda risulterebbe inammissibile per difetto di interesse.
Nel controverso caso dell’obbligo vaccinale, Giudice veronese ha infatti specificato che, per far sì che possano validamente proporre una domanda giudiziale in merito alla legittimità dell’obbligo vaccinale, i ricorrenti dovrebbero dapprima subire le conseguenze sanzionatorie stabilite dal D.L. n. 1/2022 per i soggetti che non si sottopongono alla vaccinazione obbligatoria, e poi contestare in sede giudiziale i provvedimenti adottati nei loro confronti, così come avvenuto in sede di giurisdizione amministrativa per i dipendenti pubblici, ed eventualmente sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’obbligo prescritto all’art. 1 del medesimo Decreto rispetto al dettato dell’art. 32 Cost..
Conclusione
Quindi, come anche ritenuto nell’Ordinanza in data 21.02.2022 del Tribunale di Verona, sebbene la tutela cautelare atipica di cui all’art. 700 c.p.c. stia conoscendo una notevole espansione, la giurisprudenza più recente sta cercando di delimitarne la portata al fine di non trasformare una forma di tutela specificamente prevista per le situazioni minacciate da un pregiudizio imminente ed irreparabile in uno strumento di protezione preventiva rispetto ad una eventuale successiva pronuncia di merito.
Studio Legale DAL PIAZ
[1]Tribunale di Verona, Sez. I, Ordinanza 21.02.2022.