Inquadramento giuridico ed aspetti problematici
Il crescente fenomeno di digitalizzazione degli assets e, in generale, lo svolgimento delle attività socio-economiche su internet ha ispirato il vivace dibattito della dottrina e della giurisprudenza in materia di trasmissibilità mortis causa dei contenuti creati o archiviati nello spazio virtuale.
Infatti, se il rapporto sinallagmatico inter vivos tra l’utente ed il provider è diffusamente disciplinato (si pensi, ad esempio, alle condizioni e alle norme comportamentali cui l’utente deve attenersi per iscriversi ed utilizzare un social network), il destino dei contenuti pubblicati o archiviati dall’utente una volta che questi sia deceduto appare, ad oggi, ancora incerto.
Il patrimonio digitale
Per affrontare la questione, occorre preliminarmente tracciare i contorni dell’oggetto dell’indagine, ossia, il patrimonio digitale. Per patrimonio digitale si intende l’insieme dei dati conservati da un service provider mediante servizi di cloud computing, nei social media, nei messaggi di posta elettronica e di chat, nei profili personali o professionali[1]. Tali dati includono i beni immateriali suscettibili di valutazione economica che, naturalmente, rientrano nell’asse ereditario. È altresì opportuno tenere in debita considerazione che il diritto delle successioni, per via della sua diretta correlazione con il contesto socio-culturale di un dato momento storico, risente maggiormente delle evoluzioni sociali, economiche e, soprattutto, tecnologiche del tempo e necessita, pertanto, di essere costantemente aggiornato.
Ad oggi, la trasmissibilità mortis causa del patrimonio digitale dipende dalla regolamentazione contrattuale e dalle condizioni generali di contratto accettate dall’utente al momento della registrazione del proprio account[2].
Ebbene, le previsioni contrattuali predisposte dai provider dispongono, di norma, la cancellazione del profilo dell’utente deceduto e la conseguente eliminazione dei contenuti pubblicati dal medesimo, salvo precise disposizioni testamentarie o mortis causa. Gli eredi possono quindi avere accesso ai dati del de cuius solo tramite un’azione giudiziaria. Si pensi, ad esempio, alla recente sentenza del Bundesgerichtshof del 12 luglio 2018, nella quale il giudice tedesco aveva considerato le foto pubblicate su Facebook come ricordi di famiglia, permettendo ai genitori di un’adolescente prematuramente scomparsa di ottenere le sue foto.
Un aspetto fondamentale, al riguardo, è che gli eredi dell’utente deceduto possono solamente prendere possesso dei dati del medesimo, mentre non è consentito l’espletamento di talune specifiche attività proprie del titolare del profilo, quali l’aggiunta o la rimozione di contatti. Peraltro, la gestione dell’account del defunto può avvenire solo previa conversione del profilo interessato in profilo commemorativo, funzione introdotta da alcuni social network come Facebook e Instagram. In altri termini, non è consentito il subentro nel contratto stipulato con il provider, data la sua natura intuitu personae.
La designazione del contatto erede
Per agevolare l’accesso ai propri dati, il de cuius può nominare un soggetto, il c.d. contatto erede, che si occuperà della gestione del proprio profilo una volta che questi non potrà più farlo, naturalmente, senza che ne derivi alcuna utilità economica. Il contatto erede può, dunque, amministrare il profilo commemorativo del defunto, cioè, cambiare l’immagine del profilo, pubblicare contenuti dedicati al de cuius e ricevere messaggi dagli altri utenti, mentre non è possibile cancellare post e messaggi pubblicati in un momento antecedente alla morte del titolare dell’account.
Tale figura appare di difficile qualificazione, date le funzioni prettamente conservative che svolge in relazione ai contenuti pubblicati dal defunto. Nell’ambito dell’ordinamento italiano, la nomina del contatto erede può essere assimilata all’istituto del mandato post mortem ad exequendum o a quella della nomina dell’esecutore testamentario, anche se parte della dottrina non ritiene valida la nomina dell’esecutore testamentario che non sia effettuata all’interno del testamento.
La nomina del contatto erede non preclude, tuttavia, l’accesso ai dati del de cuius ad altri soggetti che dimostrino il proprio interesse a riguardo. Infatti, l’articolo 2-terdecies del D.Lgs. 101/2018 (che ha adeguato il Codice della Privacy alle disposizioni del Regolamento UE 2016/679 – GDPR) stabilisce che i diritti riferiti ai dati personali dell’utente deceduto possono essere esercitati da chi ha un interesse proprio o agisce a tutela dell’utente in qualità di mandatario o per ragioni familiari meritevoli di protezione.
La successione nel patrimonio digitale
Il principale aspetto problematico dell’eredità digitale è la conciliazione tra le, spesso contrastanti, disposizioni contrattuali accettate dall’utente al momento della registrazione del proprio profilo e le norme in materia di diritto successorio.
Il destino dei beni digitali conservati offline e di quelli archiviati online segue quello dei supporti materiali o virtuali che li contengono (CD, chiavette USB, cloud ecc.). Per accedere a questi beni, come opere letterarie, profili social dei c.d. influencer, gli account dai quali derivano diritti di proprietà intellettuale, gli eredi hanno bisogno di conoscerne le credenziali.
È tuttavia possibile che gli eredi non siano a conoscenza dell’ID e della password creati dall’utente, a causa di una dimenticanza o per precisa volontà di quest’ultimo, e siano quindi impossibilitati ad avere accesso alla ricchezza digitale del de cuius.
Se per gli archivi offline non risultano prospettabili altre soluzioni se non la sopravvenuta conoscenza delle credenziali d’accesso, per gli spazi di archiviazione online occorre riflettere sulle possibilità di intervento del provider nel consentire agli eredi l’accesso ai file dell’utente deceduto.
Vista l’impossibilità di ricostruire la volontà del de cuius, la dottrina è concorde nel ritenere che l’accesso ai beni digitali dell’utente scomparso, specialmente quelli generatori di diritti patrimonialmente rilevanti, debba essere sempre consentito, salvo che ciò non costituisca un pregiudizio per soggetti terzi[3].
Se, invece, l’account del de cuius non contiene beni di carattere patrimoniale o meritevoli di essere diffusi al pubblico o trasmessi agli eredi, dopo un periodo di inattività stabilito dal provider o su espressa richiesta dell’interessato ex art. 17 del Regolamento UE 2016/679, il profilo e le informazioni in esso contenute devono essere cancellati.
La pianificazione della trasmissione intergenerazionale dell’eredità digitale
Considerata la crescente diffusione dei beni dematerializzati e l’assenza di una disciplina specifica sul destino dei medesimi una volta che il loro titolare viene a mancare, gli utenti ricorrono sempre più spesso ad istituti già esistenti per cristallizzare le loro ultime volontà in relazione al loro patrimonio digitale.
Il primo fra questi è il testamento, che consente al de cuius di disporre del proprio patrimonio digitale, a prescindere dalla natura patrimoniale o personale dei beni che lo compongono
Un grave limite ne pregiudica l’utilizzo: se il supporto utilizzato dal de cuius per esprimere le sue ultime volontà è la carta, è possibile che la prima persona che rinviene la scheda testamentaria possa usare le credenziali d’accesso dell’account del defunto per appropriarsi dei beni in esso contenuti o disporne in violazione della legge e della stessa volontà del de cuius. La segretezza delle credenziali verrebbe altresì annichilita anche in caso di pubblicazione del testamento o di trascrizione del suo contenuto da parte del notaio.
Un secondo strumento è il precitato mandato post mortem exequendum. Si tratta di un contratto inter vivos in cui il mandatario si obbliga a compiere determinati atti giuridici per conto del de cuius. Stante il divieto di concludere patti successori, la legittimità del mandato dipende dagli atti che il mandatario è chiamato a compiere. Infatti, se questi sono di carattere patrimoniale, il mandato è nullo ex artt. 457 – 458 c.c.. Al contrario, il mandato resta valido se gli atti che il mandatario deve compiere sono di carattere meramente esecutivo o materiale.
Un altro istituto applicabile è il legato di password, composto da un elemento immediato (la password) e un elemento mediato, oggetto del legato (i beni contenuti nell’account del de cuius, accessibili tramite la password fornita da quest’ultimo). A tal proposito, è possibile affermare che il legato di password integri la fattispecie di relatio[4].
Se, da un lato, il legato di password supera i problemi legati al divieto di patti successori e alla patrimonialità dei beni digitali, dall’altro, però, è soggetto alle stesse criticità proprie del testamento in materia di ostensibilità a terzi della password.
Un ultimo strumento utilizzato dagli utenti è la nomina dell’esecutore testamentario, ossia l’indicazione di un soggetto che si occupa dell’attuazione delle volontà del de cuius. La criticità di questo istituto è data dalla possibilità, per l’esecutore designato, di rinunziare all’incarico senza dover fornire alcuna giustificazione al riguardo, mettendo così a rischio l’effettiva realizzazione delle volontà testamentarie.
Infine, nell’intento assicurare la massima aderenza possibile alle volontà del de cuius nel corso della successione, sono state recentemente introdotte delle apposite piattaforme online, dove l’interessato può custodire le proprie credenziali d’accesso per il momento in cui verranno trasmesse all’utente designato o dove può creare e sottoscrivere dei contratti di mandato post mortem exequendum per l’esecuzione delle attività connesse ai beni che compongono il patrimonio digitale (ad esclusione del compimento di qualsivoglia atto di natura patrimoniale) o, ancora, richiedere l’attivazione automatica delle procedure normalmente conseguenti alla morte di una persona (come il blocco di un conto corrente, la liquidazione di una polizza assicurativa, l’esecuzione di un contratto di mandato post mortem exequendum, o il trasferimento dei beni digitali) non appena la sua morte si avvera e viene registrata nella blockchain.
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Malgrado la convivenza quasi ventennale con la realtà virtuale, le questioni relative alla successione digitale, qui sinteticamente trattate, sollevano delle problematiche che necessitano di una precisa regolamentazione, affinché il ricorso agli istituti esistenti non comporti delle pericolose forzature e, soprattutto, le ultime volontà dei soggetti interessati possano trovare piena tutela ed attuazione.
[1] S. NARDI, La successione nel patrimonio digitale, in E. DEL PRATO (a cura di), LE SUCCESSIONI, 2020, Zanichelli, pagg. 592 e segg.
[2] I. MASPES, Successione digitale, trasmissione dell’account e condizioni generali di contratto predisposte dagli internet services providers, I Contratti, n. 5/2020, 2020, pag. 583.
[3] Cass. civ., Sez. I, sent. in data 08.09.2015, n. 17790.
[4]MANIACI, A. D’ARMINIO MONFORTE, L’eredità digitale tra silenzio della legge ed esigenze di pianificazione negoziale, Il Corriere giuridico, 11/2020, 2020, pag. 1377.