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DPCM 14 gennaio 2021

 

Le ultime – ingiustificabili – misure di contenimento

Nel corso del periodo pandemico, caratterizzato dal diffondersi del virus COVID-19, è stato fatto larghissimo uso dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (d’ora in poi, DPCM) come strumento di regolamentazione emergenziale.
Si tratta di atti amministrativi non soggetti ad alcuna verifica da parte dell’organo legislativo – come avviene, invece, per il Decreto Legge, appositamente finalizzato alla normazione di emergenza (ex art. 77 Cost.) – con cui sono stati sospesi, ormai da quasi un anno, diritti, garanzie e libertà fondamentali previsti dalla Costituzione italiana.
A legittimazione di questo straordinario esercizio di poteri da parte del Governo (cui si deve aggiungere, tra l’altro, la possibilità per le Regioni di introdurre – molte volte anticipandole – “misure ulteriormente restrittive”, con conseguente generazione di problemi di coordinamento tra territori), consentito solamente in caso di guerra previa deliberazione delle Camere, è intervenuto dapprima il D.L. n. 6 del 23.02.2020 e, successivamente, il D.L. n. 19 del 25.03.2020, che hanno fornito (ex post) un supporto legislativo a tutto l’impianto dei DPCM.

Le limitazioni imposte agli esercenti
basate sulla classificazione dei codici ATECO

Con l’emanazione del DPCM del 14 gennaio 2021 sono state introdotte nuove misure restrittive volte a contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, che impattano ancora una volta sulle attività produttive, creando illogiche distinzioni fondate sulla classificazione delle stesse in base ai codici ATECO.
In particolare, nel periodo compreso tra il 16 febbraio 2021 ed il 5 marzo 2021, oltre alla riproposizione del coprifuoco dalle ore 22.00 alle ore 05.00, della chiusura nelle giornate festive e prefestive degli esercizi commerciali – fatti salvi quelli ritenuti essenziali (“farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, punti vendita di generi alimentari, di prodotti agricoli e florovivaistici, tabacchi, edicole e librerie”) – e delle altre prescrizioni volte a evitare assembramenti valide per l’intero territorio nazionale, permane la distinzione delle Regioni in base al livello di rischio COVID-19, e con essa il novero di attività produttive in concreto esercitabili, differenziate in base al codice ATECO di riferimento.
Al fine di evidenziare l’incoerenza dell’azione del (precedente) Governo nella gestione della crisi pandemica (ora più che altro “sanitaria” in senso stretto, in quanto non supportata da dati scientifici certi, ma sicuramente volta a colmare le lacune organizzative della sanità), è necessario soffermarsi soprattutto sulle disposizioni del succitato DPCM regolanti l’attività dei servizi di ristorazione, che, tra l’altro, si applicano a prescindere dall’andamento della situazione epidemiologica nel territorio di riferimento.
In particolare, gli articoli nn. 1, comma 10, lettera gg), 2, comma 4, lettera c) e 3, comma 4, lettera c), del DPCM 14 gennaio 2021 prevedono la possibilità, per i soggetti che svolgono come “attività prevalente” una di quelle identificate dai codici ATECO 56.3 (bar senza cucina e altri esercizi simili) e 47.25 (commercio al dettaglio di bevande in esercizi specializzati), di effettuare somministrazione di cibi e bevande da asporto esclusivamente fino alle ore 18.00.
Possono formularsi due ordini di deduzioni.
La prima è che le attività di ristorazione non recanti, come prevalenti, i codici ATECO sopra citati possono somministrare cibo e bevande anche oltre le ore 18.00 (fino alle ore 22.00), essendo esclusi dal vincolo temporale imposto.
La seconda è che solo l’attività esercitata dai soggetti cui è precluso l’asporto dopo le 18.00, per il solo fatto di svolgersi dopo l’orario indicato, diviene automaticamente fonte di possibile contagio, e, quindi, da vietare.
Non è, infatti, comprensibile perché, ad esempio, una enoteca dotata di cucina (codice ATECO 56.10.11) risulta esclusa dal divieto temporale di somministrazione di cibo e bevande da asporto oltre le ore 18.00, mentre una enoteca non dotata di cucina (codice ATECO 56.3) o un esercizio commerciale specializzato nella vendita di bevande alcoliche da non consumarsi sul posto (codice ATECO 47.25) siano costrette ad interrompere il servizio d’asporto alle ore 18.00.
Stante la quasi assoluta identità delle attività svolte, non cambia certamente il rischio di contagio pandemico.
L’effetto di tali previsioni è l’ingiusta creazione di profili di concorrenza sleale.

Pertanto, è da ritenere condivisibilissima l’affermazione di Confesercenti secondo cui “Il codice ATECO è del tutto inadeguato a fornire una fotografia affidabile della realtà delle imprese”, poiché, per l’appunto, il sistema di riferimento scelto non è in grado di rappresentare la totalità delle attività degli imprenditori, il servizio in concreto offerto e le problematiche derivanti dall’effettivo esercizio nel periodo pandemico.
Se a tutto ciò si aggiunge il coprifuoco fissato a partire dalle ore 22.00 per tutta la popolazione, diventa pressoché impossibile cogliere la ratio di siffatte distinzioni, viste le ridotte possibilità di creare assembramenti dopo detto orario. Sarebbe bastato, infatti, permettere, a tutte le attività che lo prevedono, il servizio al tavolo fino alle ore 18.00 (nel rispetto della normativa in materia di igiene e di sicurezza) ed i servizi di consegna a domicilio o d’asporto fino alle ore 22.00, lasciando agli esercenti la libertà di aprire o chiudere al pubblico nelle fasce orarie consentite, ed ai cittadini la scelta del ristoratore cui rivolgersi per le proprie ordinazioni a domicilio o da asporto.

Ed ancora, sulle irragionevoli limitazioni temporali alla vendita di sostanze alcoliche imposte sulla base dei codici ATECO, il Presidente di Vinarius – Associazione Enoteche Italiane – in una missiva indirizzata al precedente Presidente del Consiglio, ha giustamente palesato l’insoddisfazione degli esercenti specializzati (codice ATECO 47.25) costretti a fermare l’attività entro le 18.00, con conseguente perdita di circa il 30% del fatturato giornaliero, a differenza dei negozianti la cui attività, nonostante il commercio prevalentemente di bevande ed alimenti, rientra nel diverso codice ATECO 47.1 e sottogruppi.

Tra i soggetti “legittimati” alla vendita senza restrizioni temporali vi sono, inoltre, i supermercati, ed in generale la grande distribuzione organizzata, con conseguente ed illogico aumento del rischio di assembramento e creazione di ulteriore concorrenza sleale in danno dei piccoli esercenti. Tali effetti, in particolare la possibile formazione di assembramenti all’interno dei supermercati, si pongono, peraltro, in contrasto con la ratio delle restrizioni finora introdotte, svelandone la totale illogicità sul piano sanitario, oltre che la portata estremamente dannosa su quello economico.

Se l’introduzione di misure draconiane si è resa necessaria nelle prime fasi di gestione della pandemia, specialmente al fine di contenere la diffusione del contagio, l’attenzione delle autorità dovrebbe volgere verso una – auspicabile – rapida ripresa del Paese, che potrà aversi solamente se tutti gli attori economici saranno effettivamente messi nelle (medesime) condizioni di operare in sicurezza all’interno dell’attuale scenario pandemico.

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